L’origine del cane
Alcuni autori fanno risalire il primo cane a 50.000 anni fa, perché fanno riferimento ad una pittura rupestre spagnola, la cui datazione è però molto incerta.
Altri invece prendono come punto di partenza i resti ossei di un cane domestico americano, intermedio tra il dingo ed il lupo, che risalgono a 8.400 anni fa.
C’è poi ancora aperta la questione se l’antenato dei nostri cani sia lo Sciacallo dorato (Canis aureus) o il lupo.
Giocano a favore dello sciacallo la disponibilità alla convivenza con l’uomo, la tendenza ad abbaiare per avvertire, a ricevere carezze ed anche un’innegabile somiglianza fisica con alcune razze canine.
Anche il Lupo somiglia molto al cane ed alcuni autori, come Konrad Lorenz, ritengono che una parte dei cani sia derivata dallo sciacallo ed un’altra dal lupo, e che proprio il successivo incrocio tra le due specie potrebbe spiegare la varietà delle razze attuali.
Esiste poi un piccolo Lupo delle Indie (Lupus pallipes), che assomiglia moltissimo allo sciacallo.
Comunque sia stato, ad un certo punto l’uomo cacciatore e l’antenato dei nostri cani si sono incontrati, forse perché erano simili sia la tecnica di caccia in gruppo, sia l’organizzazione sociale gerarchica.
All’unione di due razze così diverse avranno contribuito anche altri motivi: magari il fatto che il repertorio delle posizioni e la mimica che formavano il sistema di comunicazioni non verbali dell’uomo, siano stati comprensibili al cane e che, parimenti, i segnali emessi dall’animale siano stati compresi dal suo padrone. – Torna all’indice
L’importanza dell’ambiente
Ogni organismo vivente, come è ormai noto, è il risultato dell’interazione tra il suo patrimonio genetico, genoma, e l’ambiente nel quale cresce e vive. Quest’ultimo può modificare in maniera radicale gli avvenimenti programmati geneticamente, al punto che oggi si ritiene che, nelle specie più evolute, l’ambiente abbia netto sopravvento sul genoma.
Lo stesso ragionamento vale anche per il comportamento. Le possibilità di reazione che dovrebbero essere dettate soltanto dal menoma, in realtà sono fortemente modellate dall’ambiente, tanto è vero che gli specialisti, riconoscendo questo fenomeno, parlano di “epigenesi” del comportamento.
Questa concezione deterministica del comportamento, in realtà non contrasta con il lavoro fatto dagli allevatori, i quali fanno le loro selezioni sulle caratteristiche “innate” delle razze. Infatti il patrimonio genetico svolge il suo ruolo nel determinare la costruzione del sistema nervoso ed il formarsi di certi meccanismi biochimici relativi al funzionamento cerebrale. Mentre l’ambiente ed il trattamento riservato dall’uomo all’animale, agiscono sull’anatomia del sistema nervoso.
Durante la vita fetale, oltre al genoma, altri elementi contribuiscono a formare ed orientare le caratteristiche emozionali del cane, e che non appartengono all'”innato”. Ad esempio, se durante la gravidanza le femmine sono sottoposte a stress, la percentuale di esemplari a tendenza ansiosa o depressiva nella loro discendenza, tende ad aumentare. Invece quando le femmine sono ben nutrite, coccolate e tenute lontano da ogni stress, partoriscono cuccioli le cui attitudini ad apprendere ed a integrarsi nell’ambiente, sono molto sviluppate, e che saranno in grado di raggiungere molto più facilmente una posizione gerarchica dominante.
Al momento della nascita il sistema nervoso del cucciolo è incompiuto, perché le cellule nervose, i neuroni, non sono ancora interconnesse tra loro. Numerosi studi hanno provato che i giovani cani che si sviluppano in un ambiente povero di stimoli, hanno una corteccia cerebrale infinitamente meno ricca di connessioni, rispetto a quella di soggetti che crescono e si sviluppano in un ambiente ricco di stimoli. Anche se si tratta di elementi della stessa cucciolata, che si sviluppano in ambienti diversi.
Anche gli allevatori riconoscono l’importanza dell’ambiente, al punto che alcuni di loro hanno l’abitudine di tenere la cagna e la sua cucciolata lontani da ogni cosa che possa avere influenza negativa peri cuccioli e per il loro sviluppo.
Dopo le prime tre o quattro settimane di vita, quando il sistema nervoso è ormai completo, il cucciolo inizia la fase della socializzazione. Esso comincia ad intrecciare legami con la madre ed i fratelli, e poi con il resto del mondo, ed in questa fase avrà come punto di partenza il proprio patrimonio genetico, già arricchito dagli stimoli ricevuti nei primi giorni, ma pronto ad arricchirsi e quindi modellarsi sempre di più, in maniera proporzionale alla ricchezza di stimoli che gli presenta l’ambiente in cui vive.
Il Territorio
Il cane è un animale sociale ed è abituato a vivere in branco, su un territorio preciso, che è il luogo dove va a caccia, si riproduce, si riposa. Il cane domestico fa della famiglia il proprio branco e della casa il proprio territorio. All’interno del territorio del branco, ogni cane possiede dei campi, ai quali corrispondono situazioni emozionali e comportamentali precise: i campi di attività, zone nelle quali l’animale esercita determinate attività (caccia, gioco…); i campi d’isolamento, dove il cane si ritira nei momenti in cui preferisce stare solo; i campi di aggressione, che sono spazi in cui l’eventuale intrusione di un consimile, ha buone probabilità di suscitare una reazione aggressiva.
Le consuetudini di comportamento tra canidi selvatici, prevedono che, per i dominanti, i vari campi siano situati al centro del territorio della muta. Il resto dei cani si divide lo spazio in zone concentriche, attorno al campo d’isolamento dei dominanti. Alla periferia di questo territorio, si trova una zona dai contorni indistinti, popolata dai maschi adolescenti, che gli adulti hanno espulso dal centro quando hanno raggiunto la pubertà. Un membro del gruppo considera estremamente importante essere ammesso o anche solo tollerato nel campo dei dominanti, perché significa quasi salire di grado. E le giovani femmine, al momento del calore, cercheranno di essere ammesse a fianco dei maschi dominanti.
Trasponendo questo comportamento tra le pareti di casa, il cucciolo che arriva presso la famiglia che lo accoglie, considera i suoi padroni come parenti di grado più elevato, quindi dominanti. La stanza nella quale essi si isolano, in genere la camera da letto, è particolarmente ricercata dal giovane cane. Essere ammesso nella stanza da letto, anche dopo la pubertà, per il cane da compagnia significa essere riconosciuto da quelli che considera dominanti, e quindi essere in qualche modo autorizzato a mettere in discussione il loro posto. A volte accade che il cane diventi aggressivo nei confronti del padrone del suo stesso sesso.
E’ quindi consigliabile escludere il cane da zone troppo personali, senza farlo mai sentire isolato o non considerato, ma evitando che diventi dominante.
Il cane che abbaia
L’abbaiamento è proprio del cane e degli sciacalli, ed è associato ad uno stato di attenzione o di allarme, tipico dei soggetti periferici e dominati, quelli che vivono ai margini territoriali del branco o della famiglia di cui fanno parte, quando un intruso violi i limiti del territorio.
l cucciolo comincia a comunicare con la madre e con i fratelli mediante suoni e vocalizzi, ma presto impara la comunicazione posturale, mediante la mimica facciale e del corpo. Piano piano la comunicazione posturale sarà privilegiata ed il cane ricorrerà all’uso della voce sempre più raramente e solo in situazioni particolari.
Certe volte la selezione fatta dall’uomo ha volutamente mantenuto in alcune razze la tendenza al vocalizzo. Per esempio nei Segugi, che devono latrare in una certa maniera durante la battuta di caccia, o i cani di compagnia, coi i quali il padrone tende ad avere un rapporto umanizzato. I cani da guardia devono abbaiare per avvertire il padrone di una situazione anomala, mentre i cani da slitta comunicano tra loro con i latrati.
Quando l’abbaiamento è tollerato dal padrone, o addirittura lodata, è chiaro che il cane sarà più stimolato a ripeterlo. Se la razza è una di quelle che hanno conservato l’abitudine alla comunicazione vocale, e se ad esse si aggiungono squilibri comportamentali del cane, per cattiva educazione o gestione da parte del padrone, ne può venir fuori un cane abbaiatore fastidioso e problematico per la convivenza sociale.
Questo problema non è di facile soluzione, soprattutto se il cane è ormai adulto. Si può ottenere un miglioramento con l’aiuto di un addestratore esperto e con un cambiamento di comportamento da parte del padrone. Sotto controllo del veterinario possono essere adoperati dei farmaci, soprattutto per quei soggetti che diventano rumorosi quando vengono lasciati soli a lungo.
Per i cani da guardia, abituati a vivere in giardino, risolvere il problema è un po’ più difficile. Infatti da una parte il proprietario permette al cane di abbaiare, perché ritiene che faccia parte del suo compito di guardiano, dall’altra il cane, gratificato dal comportamento del padrone, incomincerà ad abbaiare per qualsiasi cosa, vanificando così anche il suo compito di guardiano. In questi casi l’unico correttivo è quello di far entrare il cane in casa, dandogli così la certezza di aver salito un gradino nella scale gerarchica: esso non si sentirà più in dovere di compiere le funzioni periferiche e sarà il suo istinto a fargli capire quando è il momento di abbaiare per avvertire il proprio padrone.
Il cane mordace
Mentre in passato che i morsi del cane dovessero essere imputati a scatti di rabbia dell’animale, oggi invece sono interpretati come la rottura di una relazione che dovrebbe essere affettiva e basata sulla fiducia, e si giudica il fenomeno in rapporto al tipo di legame che corre tra il cane ed il proprietario.
Quando è ancora cucciolo il cane morde non per aggressività, ma per gioco, e già all’età di cinque settimane impara a moderare l’intensità dei morsi che dà ai propri fratelli durante le attività ludiche. Quando il cucciolo entra in una famiglia, senza aver vissuto a sufficienza con i propri simili, è necessario inibire la tendenza a mordere. Avviene spesso che i proprietari trovino divertente e normale che un cucciolo mordicchi e lo lasciano fare, ma può accadere che il cane crescendo, pur continuando a farlo per gioco, non impari a controllare l’intensità del morso.
Quando il cane non è più cucciolo e morde, nella grande maggioranza dei casi questa azione è indice di aggressività. E tutti i comportamenti aggressivi, a meno che il cane non aggredisca per paura e quindi per difendersi, si svolgono in tre fasi: l’intimidazione, che comprende posture e vocalizzi; il morso; l’acquietamento, nel corso del quale il cane vincitore mette una delle zampe anteriori sul collo del vinto, e quest’ultimo si strofina sul petto del vincitore.
A seconda della successione di queste fasi, i cani mordaci sono suddivisi in tre gruppi: iperaggressivi primari, aggressivi reattivi e iperaggressivi secondari. I primi mordono direttamente, senza alcun preavviso e non si acquietano: si tratta di cani affetti dai postumi di una patologia cerebrale, o da squilibri endocrini o da instabilità congenita. Gli aggressivi reattivi sono quelli che nel mordere, svolgono tutte e tre le fasi dell’aggressione: questi cani mordono perché le informazioni che gli giungono dall’ambiente scatenano di regola comportamenti aggressivi. In genere gli iperaggressivi secondari, sono soggetti che, dopo essere stati aggressivi reattivi, hanno capito che il morso può avere effetti positivi nell’ambiente. Delle tre sequenze dell’aggressione, è rimasto solo il morso. Il processo che porta all’iperaggressiva secondaria è detto processo di “strumentalizzazione” e questo tipo di aggressività è detto anche “aggressione strumentale”.
Il morso è la manifestazione di una malattia comportamentale, che può essere stata generata o da un errato rapporto cane-padrone o da carenze di socializzazione. Per rimediare è possibile ricorrere all’aiuto di esperti comportamentisti, di veterinari o di allevatori che conoscano bene la razza cui il cane in questione appartiene. Ma è bene che chiunque prenda in casa un cucciolo, non gli permetta di mordere, lo controlli e ne segua l’educazione, fin dai primi mesi d’età.
Le fughe del cane
Una delle più frequenti cause di fughe del cane adulto è l’istinto di accoppiamento. I cani giovani, invece, trattenuti dalla paura e dall’inesperienza, difficilmente si allontanano da casa. Quando al cane riesce di fuggire la prima volta, e molto probabile che ci provi in occasioni successive, rendendo sempre più frequenti le fughe ed anche la loro durata. Il cane che abbia provato gioia nella fuga, farà di tutto per ripeterla: rosicchierà il guinzaglio, si aprirà passaggi nelle siepi, salterà i muri di cinta, approfitterà di qualsiasi apertura di porta o cancello.
Il cane che fugge in genere è calmo e poco aggressivo, evita l’uomo e cerca la compagnia di altri cani. La sua reazione invece può essere violenta, se incontra un cane al guinzaglio.
Ma il cane scappa anche per fuggire la solitudine: spesso si trova a vivere solo in un giardino, con pochissimi rapporti col branco-famiglia, forse solo al momento dei pasti. Se questo cane scappa, probabilmente lo fa per cercare altri cani con cui socializzare, o persone che gli diano carezze ed attenzione.
Altro caso non insolito di fuga è quello del cane da caccia, che ha forte ed innato l’istinto alla ricerca della selvaggina. Se questo cane viene impiegato come animale da compagnia, può succedere che scappi alla prima occasione, seguendo il proprio istinto represso. Magari la fuga è breve e si conclude con la caccia alle galline o ai gatti del vicino.
Anche i cani di certe razze da pastore, che sono indipendenti per natura, o anche i cani nordici, che hanno bisogno di grandi spazi in cui correre, possono propendere alla fuga.
E’ quindi necessario riflettere bene sulle esigenze delle singole razze, prima di scegliere un cane, per non dover poi affrontare problemi di cui il cane scelto non ha alcuna colpa. E poi, qualsiasi cane dovessimo scegliere, ricordiamo sempre di avere accanto un essere che nutre delle aspettative nei nostri confronti. Il cane che sia educato fin da piccolo a rispondere al richiamo del padrone, che goda della sua compagnia in vari momenti della giornata, che sia portato spesso a passeggio ed abbia qualche coccola ed attenzione, difficilmente cercherà di scappare di casa.
“Il vero amico è quello che conosce tutti i tuoi difetti e non fugge” (Speranza)
Problemi legati alla solitudine
Quale sia la percezione del tempo da parte degli animali, è un argomento che ha sempre suscitato pareri discordi e controversie. E la convinzione che il cane in particolare, non abbia termini di misura e che il concetto di tempo in sé gli sia estraneo, induce molti padroni un po’ superficiali, a ritenere che la durata della loro assenza non sia percepita dall’animale, e che il fatto che il cane sia lasciato solo per due ore o due giorni, non faccia differenza. Invece è ormai riconosciuto dagli studiosi, che i lunghi periodi di solitudine favoriscono disordini comportamentali. In America, dove per precauzione igienica, ai cani è interdetta la maggior parte dei luoghi pubblici frequentati dai loro padroni, i comportamentisti veterinari si sono impegnati seriamente sulla questione: essi hanno adoperato videocamere e magnetofoni, per osservare il comportamento del cane durante l’assenza del padrone. Dalle video-registrazioni essi hanno visto come i danni che l’animale arreca alle cose ed all’appartamento (emissione di urina, di escrementi, rottura di oggetti…), avvengono nel corso di tutta l’assenza, e sono spesso accompagnati da manifestazioni emozionali sempre più violente, man mano che l’assenza si protrae. Il ritorno del padrone è per il cane un momento di grande gioia. Ma breve: il padrone nel vedere i danni provocati dal cane, dimentica le carezze e lo punisce, senza che l’animale sia in grado di collegare la punizione con i danni arrecati.
E poco per volta può nascere nel cane una vera sindrome da separazione, nel cui sviluppo è possibile osservare tre fasi: la fase reattiva, quella ansiosa e lo stato depressivo.
Nella fase reattiva il cane, posto di fronte al problema della solitudine, manifesta la sua angoscia a seconda delle sue caratteristiche emozionali e di socializzazione. Potrà quindi reagire abbaiando, grattando o mordendo la porta di casa. Con questi comportamenti l’animale cerca di modificare l’ambiente che lo “aggredisce”.
Dalla fase reattiva il cane passa rapidamente a quella ansiosa. I tentativi di ribellione e di fuga, costantemente frustrati, indeboliscono l’equilibrio del cane, che viene a trovarsi in una situazione di paura. Questa paura può esprimersi in due modi. Nel primo caso il cane può aumentare la sua aggressività nei confronti degli oggetti, rivolgendosi non solo alla porta, ma a tutta la casa. Nel secondo caso il cane inizia delle attività che non sembrano collegate alla situazione, ma che servono a scaricare la sua tensione emotiva: leccare o mordicchiare parti del suo corpo, mangiare senza freno(bulimia), saccheggiando anche la pattumiera, bere tutti i liquidi che si trovano alla sua portata(dipsomania). In ogni caso il cane è diventato ansioso e la sua capacità di elaborare le informazioni che provengono dall’ambiente è falsata. E soltanto una cura adatta potrà riportarlo in condizioni normali.
Quando questa situazione viene vissuta con sufficienza e leggerezza da parte del padrone, il cane può passare alla terza fase, che è quella di uno stato depressivo particolare, detto “depressione da involuzione”. Questa malattia colpisce cani sui sei sette anni, che hanno sofferto ansia da separazione, non curata. Ma a questo punto le condizioni del cane e le difficoltà di convivenza con esso sono tali, che i proprietari non tardano a consultare un veterinario. Infatti il cane depresso è indifferente a quanto lo circonda, si rifiuta di uscire, geme per ore, perde la padronanza sfinterica e soffre di insonnia.
La cura associa sempre una terapia farmacologia ad una terapia comportamentale. La prima viene adeguata alle condizioni emozionali del cane e fa ricorso a medicinali psicotropi, neurolettici, ansiolitici ed antidepressivi. La terapia comportamentale riguarda soprattutto il padrone, che dovrà adottare particolari accorgimenti, per insegnare al cane a sopportare la solitudine:
- Evitate di occuparvi del vostro cane nella mezz’ora che precede la vostra partenza da casa;
- Uscite molto freddamente, senza guardare il cane e senza parlargli;
- Al ritorno non rispondete alla festa, ma fingete la più totale indifferenza, fino a quando il cane si calmi a vada a sedere in un angolo;
- Quindi andate ad accarezzarlo ed a rafforzare la sua tranquillità;
- In caso di danni non dite nulla, riparate e pulite di nascosto, perché per pulire è necessario accovacciarsi ed il cane potrebbe scambiarlo per un gioco.
La terapia comportamentale va adoperata a titolo preventivo anche con i cuccioli, quando i padroni sanno di non poter fare a meno di lasciarli soli per parecchie ore.
Quando il cane mangia le feci
Questo comportamento del cane, sicuramente fastidioso, ha fatto nascere presso alcune culture, la convinzione che il cane sia un animale impuro. In realtà esso può essere sia funzionale che patologico.
Gli escrementi di animali erbivori, molto ricchi di fibre e di elementi vegetali parzialmente digeriti, suscitano il desiderio del cane e la loro ingestione non ha niente di anormale.
Al contrario, il problema dell’ingestione di feci di cani, resta in parte sconosciuto, anche perché è stato studiato ancora troppo poco. Nel periodo infantile l’esplorazione e la conoscenza avviene soprattutto attraverso la bocca e dunque il cucciolo è portato ad ingerire le feci di altri cani. C’è da dire poi che le feci di cani che ricevono un’alimentazione iperproteica, ricche di ammine biogene, possono risultare appetitose ai loro simili. Ma la coprofagia non è l’unica manifestazione strana. Infatti alcuni cani ingeriscono una parte di escrementi e si rotolano in quello che resta, con lo scopo di impregnarne il pelo del collo e della parte posteriore delle orecchie: sono queste infatti le zone che i cani esplorano a vicenda quando vengono a contatto. Si potrebbe ipotizzare che il cane mascheri il proprio odore per modificare anche il proprio contatto sociale.
L’autocoprofagia è il fenomeno del cane che mangia i propri escrementi. Se in un cane giovane questo fenomeno può essere considerato normale, il persistere di esso è segno di una patologia grave, non imputabile ad uno squilibrio metabolico, come si pensava in passato, ma molto probabilmente ad una sindrome da separazione, e, ancora di più ad uno stato di depressione. Il proprietario di un cane autocoprofago dovrà subito consultare un veterinario.
Educazione e addestramento del cane
Perché la convivenza con il cane sia piacevole, è indispensabile che il cane venga educato all’obbedienza. Insegnargli a rimanere seduto o accucciato, non significa trasformarlo in un animale da circo, ma soltanto dargli delle regole di comportamento. Queste regole sono basilari anche nell’addestramento di quelle razze canine, destinate a rendere dei servizi all’uomo o a superare delle prove di lavoro.
Il cane deve imparare a sedersi, ad accucciarsi, rimanere in piedi: tutti movimenti che per lui sono posture naturali. Spetta a voi fargli capire a quale parola d’ordine corrisponda ogni posizione e fargliela eseguire…Continua…